Civiltà del Lavoro, n. 2/2015 - page 42

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2015
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INCHIESTA
Dal canto loro, i lavoratori si avvalgono sempre più dei wel-
fare benefit messi a disposizione dalle aziende: al primo
posto i benefit alimentari (90%), le agevolazioni sul lavoro
(76%), l’assistenza medica e burocratica (70%), i servizi
di conciliazione lavoro-vita (56%), le agevolazioni per il
tempo libero, sport e cultura (55%), i servizi per la mobi-
lità (40%) e i servizi di assistenza per la famiglia (39%).
Esistono poi altre tipologie di benefit secondari delle quali
i lavoratori vorrebbero usufruire, tra cui il telelavoro, i ser-
vizi di trasporto da e per il luogo di lavoro e i servizi per
l’infanzia, che al momento vengono erogati dalle azien-
de solo in misura minore.
Un altro aspetto emerso dalla ricerca è legato alle poten-
zialità della contrattazione integrativa, che tende a valo-
rizzare sempre più i servizi di welfare. È dunque probabile
che con il superamento della crisi ci sia una nuova spinta
alla diffusione del welfare aziendale, in cui il nostro Pae-
se può ancora progredire: secondo le stime dell’Ocse, le
prestazioni “non obbligatorie” erogate dalle imprese ai
dipendenti raggiungono il 14% della spesa sociale com-
plessiva in Gran Bretagna, il 7% in Germania, Francia e
Svezia e solo il 2,1% nel nostro Paese. Questo dato dipen-
de ovviamente anche dalla struttura produttiva italiana,
fondata su piccole imprese che possono avere maggiore
difficoltà a organizzare servizi di welfare. Ma anche qui
qualcosa si sta muovendo: a Varese è nata per esempio
Giunca, la prima rete d’imprese per organizzare colletti-
vamente i servizi per i dipendenti.
Molto dipende anche dalla legislazione, che in Italia favo-
risce fiscalmente questi benefit solo in modo assai mar-
ginale: solo da poco, per esempio, sono stati defiscalizza-
ti i buoni pasto, passati da 5,29 a 7 euro, per un totale di
2,7 miliardi di euro.
Ma perché le imprese dovrebbero puntare sul welfare
aziendale? Per l’Osservatorio “Secondo Welfare” (nato dal-
la collaborazione tra il Centro Einaudi e l’Università di Mi-
lano) le motivazioni sono diverse: in ordine d’importan-
za, attrarre i talenti, aumentare la produttività e il legame
con i dipendenti, allinearsi alle migliori prassi di mercato.
Nelle aziende maggiori si stano sperimentando formule
molto innovative, che tendono a sostenere il reddito dei
lavoratori con buoni acquisto e buoni libri di scuola per i
figli, ma anche a rendere sempre più flessibile l’impegno
di lavoro, arrivando persino a forme di “job sharing” fa-
miliare, la possibilità cioè per il coniuge o per i figli adulti
di sostituire il dipendente sul posto di lavoro per un perio-
do di tempo. Altre aziende pensano anche al benessere
psicologico dei propri dipendenti e hanno organizzato te-
am di psicologi a disposizione dei lavoratori. Da ultimo, il
welfare aziendale potrebbe in prospettiva essere un fat-
tore importante anche per la revisione dello Stato socia-
le, soprattutto in tempi di spending review.
Si calcola, per esempio, che circa cinque milioni di italia-
ni godano di servizi sanitari integrativi di tipo contrattuale
o aziendale. E questa potrebbe essere una formula che,
opportunamente estesa, potrebbe consentire di integrare
i servizi erogati del Servizio sanitario nazionale, ottimiz-
zando spesa pubblica e spesa privata.
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