Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 30

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CIVILTÀ DEL LAVORO
II • 2014
molto opportunamente i padri fondatori della nostra Euro-
pa, nella quale anche gli Stati nazionali sapevano comun-
que coniugare il proprio interesse specifico con una visione
e con un ideale di costruzione di un equilibrio sovranazio-
nale che consentisse pace, benessere e crescita per tutti.
Chi non ricorda l’intervento fatto da De Gasperi la prima
volta che parlò di fronte ai Paesi che avevano vinto la guer-
ra dicendo: “Devo alla vostra cortesia personale il fatto
che sto qui a parlare, ma intanto questi sono gli interessi
del mio Paese che vi devo rappresentare”?.
C’è la possibilità di coniugare gli interessi specifici di un
Paese all’interno di un ideale europeo diverso? Io credo di
sì, ma a condizione che sia chiaro qual è l’ideale di Euro-
pa che dobbiamo costruire. E la visione e il ruolo dell’Eu-
ropa si devono fondare anzitutto sulla fortissima identità
e capacità di declinare e definire, non solo le prospetti-
ve, ma anche i valori fondanti che “unificano” la dimen-
sione europea.
Se questo si può fare, se è possibile, allora è chiaro che
questo ci porta a tutta una serie di considerazioni scomo-
de, difficili, probabilmente critiche e divisive. Ad esempio,
dobbiamo o meno affrontare il tema della radice cristiana
dell’Europa? È un tema difficile, complesso, ma ineludibi-
le perché una realtà che voglia porre come fondamento
dei propri valori e del proprio futuro le proprie radici non
può non affrontare il problema di quali siano queste radici.
D’altra parte la risposta più recente l’abbiamo avuta da Pa-
pa Francesco, il quale ha fatto un’autocritica molto forte
sulla storia delle Crociate e sui valori fondamentali, che
all’epoca erano valori di intolleranza nel modo di intende-
re la cristianità, molto diversi rispetto ai valori da Wojtyla
in poi prospettati che sono più inclusivi.
Questi sono i temi sui quali si infrange la visione di una
Costituzione europea e che non ci hanno consentito di
affrontarne la costruzione, nella logica di costruire valori
unificanti di cittadini che si riconoscono in una nuova di-
mensione culturale e sovranazionale.
Quell’occasione noi l’abbiamo persa, il modo in cui abbia-
mo costruito anche questa Europa certamente ha bruciato
ogni via di ritorno. Noi eravamo tutti più o meno impe-
gnati in varie vicende, anche di rappresentanza di inte-
ressi imprenditoriali e di attività, quando è stata costruita
Maastricht, quando è stato fatto l’accordo sull’euro. Ricor-
diamo tutti Ciampi e naturalmente Carli. Due i punti fon-
damentali sui quali, all’epoca, si è “consumata” la costi-
tuzione di questa Europa. Il primo: l’Italia è un bambino
che ha bisogno di un precettore che con la bacchetta lo
costringa a comportarsi virtuosamente, quindi l’Europa.
Secondo postulato: l’allargamento della Germania può
essere fatto solamente se la neutralizziamo all’interno di
uno spazio europeo che rappresenti una via di non ritor-
no per una Germania egemone e, al tempo stesso, rap-
presenti ancora di più la costruzione di un vincolo ester-
no dal quale non si potrà più uscire.
Abbiamo bruciato i ponti dietro di noi, dall’euro non si esce,
l’impatto economico e sociale sarebbe devastante, inso-
stenibile, non politicamente, non socialmente, non eco-
nomicamente affrontabile. Dall’euro non si può più uscire.
L’abbiamo costruita bene questa Europa? Tutt’altro, l’ul-
tima cosa alla quale un Paese rinuncia è la propria so-
vranità e questa è da sempre collegata alla possibilità di
battere moneta. Noi quella parte importante di sovranità
l’abbiamo persa e, nel contempo, non abbiamo costruito
istituzioni sovranazionali europee che potessero recepire
e governare quelle fette di sovranità alle quali tutti noi
abbiamo rinunciato.
Questo ha determinato uno squilibrio e non si esce da
questo problema andando indietro, ma andando avanti,
accelerando ancora di più il processo di unificazione e di
rafforzamento dell’Europa.
Io sono un convinto federalista, ma sono anche realistica-
mente convinto che, di questo passo, non vedrò probabil-
mente gli Stati Uniti d’Europa. Però, da qui a costruire una
strategia competitiva europea dell’energia, una strategia
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