Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 22

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CIVILTÀ DEL LAVORO
II • 2014
fanno a reggere e rimanere efficienti con un Total Tax Ra-
te del 66%. Noi siamo in una situazione di tassazione che
dimostra l’enorme forza del sistema produttivo italiano. Il
contesto di vantaggio comparato che hanno gli altri Pae-
si grazie a una tassazione più bassa è enorme, sono ven-
ti punti di differenza.
Faccio un richiamo doveroso ai soggetti istituzionali che in
questo momento governano il Paese, doveroso e auspi-
cante, riguardo alle graduatorie di facilità di fare impresa
nei vari contesti. L’Italia si posiziona al 65° posto su 189
Paesi, ma ovviamente i Paesi altamente sviluppati non
sono 189, la media Ocse è al 29°, la Germania è al 21°
posto, l’Inghilterra è in decima posizione. Il Presidente del
Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato che entro il 2018 ci
porterà dal 65° al 15° posto. È una dichiarazione corag-
giosa, la prendiamo come vera, speriamo che ci riesca e
io credo che tutti noi ce lo auguriamo.
In definitiva l’Italia è un Pa-
ese straordinariamente forte
e straordinariamente debole:
la forza voi la conoscete me-
glio di chiunque altro perché
giorno per giorno la fate; la
debolezza è data, invece, da
una spesa pubblica enorme,
inefficiente, una pressione
fiscale assolutamente inso-
stenibile, soprattutto per le
imprese e anche per le famiglie perché ormai la tassazio-
ne media è del 44% del Pil. Per chi paga le tasse sale al
56% e poi ci sono quei 10 punti di evasione ed elusione.
L’Italia ha fatto quello che ha potuto. Se avesse fatto ef-
fettivamente delle riforme nel corso degli anni dell’euro,
noi saremmo molto vicini all’economia tedesca, lo siamo
comunque in determinati segmenti che sono quelli delle
imprese che esportano.
Prima ho ricordato le icone dei nostri grandi ideali, perso-
ne che guardavano lontano e non vicino. Insisto su questo
perché oggi l’Europa manca di leader di questa portata,
altri ce ne sono stati in tempi più vicini a noi, ma prefe-
risco riferirmi ai cosiddetti “padri fondatori”. Il confronto
più ovvio è tra Eurozona e Stati Uniti. Preferisco questo
piuttosto che fra l’Unione europea a 27 e gli Stati Uniti
perché hanno due valute omogenee al loro interno, di-
somogenee tra di loro ovviamente.
Gli Stati Uniti hanno sempre avuto una crescita del Pil più
forte di quella europea, in taluni momenti molto più for-
te. Guardiamo il 2012, quando l’Europa ha stretto “i rubi-
netti fiscali” e c’è stato un enorme divario tra la crescita
europea e quella statunitense. Due politiche economiche
radicalmente opposte, una di rigore fiscale comunque e
dovunque, l’altra di spinta alla crescita. La disoccupazione
statunitense dice che, a mio avviso, la politica scelta dagli
Usa è premiante perché la disoccupazione sta scendendo a
una velocità enorme. Anche se il mercato del lavoro ame-
ricano è più flessibile del nostro, ciò non basta a spiegare
questo calo. Se non ci fosse crescita, non calerebbe così.
Se prendiamo il deficit su Pil, certo, l’Europa è andata me-
glio degli Stati Uniti, ma ci chiediamo: ne è valsa la pena
di andare così bene rispetto a una rinuncia di crescita e
di occupazione? È un quesito che lascio alla vostra atten-
zione. La mia risposta è: non era necessario.
Se prendiamo il debito su Pil di cosa ci accorgiamo? Che
tutto sommato il divario non aumenta perché il Pil ame-
ricano cresce. Anzi, se guardate bene, la differenza si va
lievemente riducendo, il de-
nominatore americano cre-
sce velocemente, questo ab-
bassa il rapporto. Quindi, se
guardiamo il deficit potrem-
mo “metterci le mani nei ca-
pelli”, ma se guardiamo il
debito, non è così la situa-
zione, perché il debito ame-
ricano non aumenta il suo
divario rispetto a quello eu-
ropeo, il Pil cresce.
La mia conclusione è abbastanza evidente. L’Europa ha
scelto una strada di iper rigore fiscale, che per adesso non
ha premiato dal punto di vista dell’economia reale. Forse
lo ha fatto dal punto di vista della solvibilità dei titoli so-
vrani, ma anche su questo avrei dei dubbi.
Ricordo le due grandi scelte che ha fatto l’Europa, il Sixpack,
il Fiscal Compact, che è stata la scelta di rigore fiscale,
quello che io chiamo il “Fondo Croce Rossa”, detto “Fon-
do Salva-Stati” per andare incontro a quelle situazioni di
quasi collasso (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, che è
stata anche molto abile). Ma certamente non è risolutivo
per i problemi dell’Europa.
Porto ora la vostra attenzione su due aspetti: il quadro
finanziario poliennale. Sono circa 1.000 miliardi di euro,
140 miliardi l’anno per sette anni che, a mio avviso, pur
essendo poco sono pur sempre una grande opportunità.
Questo è un messaggio per il nostro Paese. Dobbiamo cer-
care di sfruttare quel quadro finanziario poliennale al me-
glio e non accumulare dei residui non spesi, dei quali an-
L’EUROPA HA SCELTO UNA
STRADA DI IPER RIGORE
FISCALE, CHE PER ADESSO
NON HA PREMIATO
DAL PUNTO DI VISTA
DELL’ECONOMIA REALE
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