Civiltà del Lavoro, n. 6/2014 - page 63

CIVILTÀ DEL LAVORO
VI - 2014
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INCHIESTA
attenzione rispetto alla peculiarità del caso e delle perso-
ne coinvolte di volta in volta.
Nella mia esperienza bancaria ho potuto sperimenta-
re in prima persona quanto sia importante il rapporto di
reciproca stima e fiducia che si instaura tra il prenditore
dell’affidamento e la banca. Potrei citare molteplici casi
reali in cui la mia banca si è assunta il rischio del buon
esito di un’operazione accanto e insieme all’imprenditore
sulla base della condivisone del progetto imprenditoriale.
Lungi da me dire che un tempo si faceva credito faci-
le, poiché ogni pratica di affidamento era supportata da
una approfondita analisi dei profili economici e di meri-
to per una attenta pianificazione degli strumenti di tute-
la del credito; tuttavia l’esito della decisione della banca
(anche per l’aspetto della misura del prestito) dipendeva
in modo rilevante pure dalla valutazione di elementi at-
tinenti alla reputazione locale della persona e alla verifi-
cabilità dell’organizzazione di impresa, che consentivano
di prevedere con ragionevole margine di certezza, la ca-
pacità dell’affidato di far fronte al rimborso con il reddito
prodotto. In tal modo la garanzia, nel senso tecnico del
termine (fidejussione, pegno, ipoteca) veniva intesa più
che come strumento di tutela, come una sorta di assicu-
razione contro eventi imprevedibili.
Per venire ora al tema sul quale mi viene richiesta una
riflessione, poiché appare evidente che il credito all’im-
presa rappresenta un elemento chiave dell’operatività
delle banche popolari, una questione che oggi assume
rilevanza cruciale è come continuare al farlo nell’attuale
congiuntura. Una congiuntura connotata, sotto il profilo
economico, dai devastanti effetti della crisi e dall’assenza
di segnali concreti di ripresa e, sotto il profilo istituziona-
le, da una iper-regolamentazione nazionale ed europea
che, seppur ispirata da indiscutibili finalità di tutela dei
risparmiatori, ha spesso effetti contraddittori e restrittivi
proprio in materia di credito all’economia. Come da più
parti viene sottolineato, infatti, il forte accento messo sui
coefficienti patrimoniali delle banche, insieme con le dif-
ficoltà che scaturiscono dalla molteplicità delle fonti nor-
mative e dalla pluralità di regolatori (Banca d’Italia, Bce,
Eba, etc.), hanno reso particolarmente difficile l’attività
di concessione dei prestiti richiedendo alle banche una
“pesatura” molto complessa. Ciò, peraltro, in paradossale
contraddizione con le misure varate delle medesime au-
torità per il rilancio dei finanziamenti (attraverso le Tltro,
l’acquisto di Abs e covered bond, il Quantitative Easing di
titoli pubblici, etc.).
Molto efficacemente ha di recente titolato un quotidiano
economico italiano: “Sull’altare dei ratio si sacrifica il cre-
dito”. Il rischio è che il numero dei richiedenti il credito
che faticano a trovare soddisfazione nella risposta delle
banche aumenti e che molti di coloro che nelle banche
hanno trovato un impiego vedano drasticamente ridotte
le proprie possibilità di continuare siffatta attività.
Al fine di consentire alle banche, soprattutto a quelle di
prossimità, di ritornare a svolgere la propria funzione di
volano per l’economia sono, secondo me, necessarie due
scelte di campo. La prima: che si crei chiarezza riportan-
do ordine e uniformità nelle regole per le varie banche
che operano su un dato territorio, eventualmente anche
attraverso la messa a punto di un Testo unico bancario
europeo. La seconda: che si rivedano i criteri di compu-
to del capitale nel senso di meglio bilanciare il peso del
portafoglio crediti rispetto a quello finanziario o, in alter-
nativa, creando parametri differenziati in base alla voca-
zione (retail o d’affari) delle banche.
Per richiamare la mia esperienza, credo che non ci sia
nulla di più appagante per un banchiere – ed a maggior
ragione per un banchiere popolare – di ricevere dai terri-
tori di riferimento l’attestazione di appartenenza per es-
sere la banca percepita come soggetto economico attivo
– come mi piace dire “operatore tra gli operatori” – della
comunità sociale.
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