Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 39

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CIVILTÀ DEL LAVORO
II • 2014
DOSSIER
FOCUS
PRIMO
PIANO
INCHIESTA
RITRATTI
no di sicuro contribuito al-
la miglior fama dell’Euro-
parlamento, attribuendo a
se stessi i meriti delle co-
se fatte e all’Europa la col-
pa di tutto ciò che non fun-
zionava.
Una parte non indifferente
della disaffezione dei citta-
dini nei confronti dell’Eu-
roparlamento, almeno per
quel che concerne gli italia-
ni, è dovuta anche al nostro
sistema elettorale. La scelta
di avere diviso il territorio
nazionale in cinque grandi
circoscrizioni fa sì che per
essere eletti bisogna gode-
re di grande popolarità. Ciò
ha favorito leader politici, sindacalisti e anche personag-
gi dello spettacolo o della informazione. Nulla di male in
ciò, ma purtroppo il più delle volte questi, una volta elet-
ti, si sono recati poco a Bruxelles o a Strasburgo, quando
addirittura non hanno fatto ritorno a casa, lasciando un
vuoto nella rappresentanza del nostro Paese. Nelle prima
elezione a suffragio diretto vennero eletti: Bettino Craxi,
Giorgio Almirante, Giancarlo Pajetta, Nilde Jotti, Flaminio
Piccoli, Leonardo Sciascia, Mariano Rumor e altre note
personalità, che vennero all’inaugurazione del Parlamen-
to, ma che in seguito si videro raramente a Strasburgo.
Craxi venne due volte, Berlinguer tre, Piccoli disse di es-
sere venuto una volta (ma io non l’ho visto), Zaccagnini,
capolista nella circoscrizione nord-ovest, non venne mai.
Emilio Colombo, che aveva avuto circa un milione di pre-
ferenze, un record assoluto in Europa, venne poche vol-
te. Anche Susanna Agnelli venne solo quattro volte, ma
almeno preferì rinunciare al mandato lasciando il posto
al primo dei non eletti.
L’assenteismo peraltro non si limitava a queste personalità.
Troppi parlamentari si presentavano il mercoledì e ripar-
tivano il giovedì, come avveniva (o avviene ancora?) nel
nostro Parlamento, dove il lavoro si concentrava in questi
due giorni. Nell’Europarlamento, invece, il lunedì si vota
l’ordine del giorno, ossia il lavoro delle settimana, segue
il dibattito in Aula nei tre giorni successivi e il venerdì si
vota, sicché ai lavori dell’Aula occorre essere presenti
dall’inizio alla fine. Lo stesso vale anche per la presenza
nelle Commissioni e nei Gruppi politici. Ben vero non è
mancato l’apporto di grandi
personalità e di molti elet-
ti, ma purtroppo le troppe
assenze hanno fatto veni-
re meno il peso dell’Italia
nelle Commissioni e in Au-
la all’atto del voto. In pra-
tica il mandato parlamen-
tare europeo deve essere
inteso come un incarico a
tempo pieno e non si conci-
lia con altri incarichi politici
o di lavoro in Italia, Anche
nel Vangelo è scritto “non
si possono servire due pa-
droni”. Aggiungerei: specie
se uno si trova all’ estero.
Mi auguro che nella sele-
zione dei candidati alle pros-
sime elezioni i partiti abbiano tenuto conto di questa esi-
genza come del fatto che i nostri concittadini eletti, che
saranno solo 73 su un totale di 766, debbano avere buo-
na conoscenza dei Trattati e delle Direttive europee e an-
che conoscenza di almeno una, meglio due, delle lingue
che si parlano in Europa. Perché se è vero che nelle sedi
di lavoro dell’Europarlamento vi è la traduzione simulta-
nea, è altrettanto vero che, come in ogni altro Parlamen-
to, le intese spesso si raggiungono nei corridoi o alla bu-
vette, dove non c’è la simultanea.
Ho passato in rassegna le varie cause che hanno porta-
to alla disaffezione degli elettori nei confronti dell’Euro-
parlamento, vorrei aggiungerne un’altra nei confronti dei
media, delle fonti di informazione. Se, infatti, nell’immi-
nenza delle elezioni sui giornali e alla televisione è dato
grande spazio alle aspirazioni dei candidati, dopo le ele-
zioni cala l’interesse per ciò che essi fanno a Bruxelles
e a Strasburgo. Tutt’al più si legge quanto percepiscono
per l’indennità di carica, ma non si dice se sono presen-
ti o meno; se dispongono di una segreteria, come è pre-
visto per ogni membro del Parlamento, o se si limitano
a mettere in tasca le somme che a tale titolo ricevono.
In pratica ciò che avviene nelle istituzioni europee sem-
bra non essere più degno di essere portato a conoscen-
za della pubblica opinione ed è questo un altro motivo di
frustrazione per gli eletti. O almeno per quelli che eserci-
tano correttamente il proprio mandato. Le prossime elezio-
ni europee e il semestre di presidenza italiana dell’Unio-
ne, che inizia a luglio, offrono alla nostra classe politica
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