Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 40

CIVILTÀ DEL LAVORO
II • 2014
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l’occasione per correggere ciò che sin qui non ha funzio-
nato, o ha funzionato male, vincendo le spinte all’isola-
zionismo che immancabilmente si manifestano nei mo-
menti di frustrazione e di difficoltà. Questa tendenza non
a caso si ripresenta oggi, non come una calamità ma co-
me la soluzione dei nostri problemi.
Nel passato le elezioni europee sono spesso servite al-
le forze politiche per misurare i rapporti di forza fra loro,
piuttosto che per affrontare le tematiche europee. Questa
volta è diverso, si discute della politica economica euro-
pea e soprattutto della moneta unica. Anche se da molti
in termini critici. In realtà alla nascita dell’euro da parte di
molti si disse che l’obiettivo di un’unica moneta avrebbe
dovuto essere preceduto dalla messa in atto di una po-
litica comune in campo economico, bancario e fiscale e
di strumenti di reale governo europeo. Si preferì, invece,
iniziare dalla moneta, stimando che questa avrebbe fat-
to da catalizzatore per il processo di integrazione. La so-
pravvenuta crisi economica in tutta l’area occidentale ha
purtroppo rallentato il processo, ma di ciò non può darsi
la colpa all’euro, se è vero che alcuni paesi, non solo la
Germania, a differenza di altri hanno profittato della mo-
neta unica per migliorare le loro condizioni.
Carlo Knight sul Corriere della Sera rifletteva sul fatto che
con un ritorno alla lira il nostro debito pubblico di 2.089
miliardi di euro – tradotto in lire – ammonterebbe a una
cifra stratosferica e che il Tesoro per potere piazzare i Btp
sarebbe costretto a offrire interessi altissimi; mentre il
presidente di Confindustria Giorgio Squinzi avverte che
“se tornassimo alla lira, in due o tre anni perderemmo il
25%-30 % del Pil”.
Per risanare i conti dell’Italia e mettere il Paese nella con-
dizione di crescere non basta ridurre la spesa e fare alcu-
ne delle riforme che l’Unione europea e il Fondo mone-
tario internazionale ci chiedono da anni. Occorre tagliare
il debito pubblico e, come dice il Presidente del Consiglio,
“non perché ce lo chiede qualche leader europeo, ma per-
ché è un dovere verso le nuove generazioni”.
L’obiettivo da raggiungere non può essere quello di tor-
nare indietro, al contrario deve essere quello di prosegui-
re nella costruzione europea. Un edificio incompleto non
può sfidare il tempo. Esso deve essere portato a termine,
altrimenti si deteriora e crolla.
Alfredo Diana è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 1975
per il settore agricolo e zootecnico. È stato Presidente della
Confagricoltura, Ministro dell’Agricoltura nel primo Governo
Amato e nel Governo Ciampi, Parlamentare Europeo e Senatore
della Repubblica. Presidente della Federazione Nazionale dei
Cavalieri del Lavoro dal 1981 al 2001.
L'INCARICO
DI PARLAMENTARE EUROPEO
DEVE ESSERE INTESO A
TEMPO PIENO E NON SI
CONCILIA CON ALTRI
INCARICHI POLITICI
O DI LAVORO IN ITALIA
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