Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 43

DOSSIER
FOCUS
Studiare o lavorare nella ricerca all’estero?
È giusto, anzi auspicabile, ma quando l’Italia
fa il saldo fra quanti “cervelli” vanno via e
quanti arrivano, scopre che è negativo per noi.
Formiamo ottimi giovani e ricercatori,
che poi “regaliamo” agli altri Paesi perché non
siamo in grado di offrire loro un ecosistema
universitario e prospettive di carriera adeguati
agli sforzi compiuti. E così facendo diventiamo
sempre meno appetibili anche agli occhi dei
talenti stranieri. Del tema si è parlato a Napoli
in occasione del convegno “La circolazione
dei talenti come fattore di crescita globale”
organizzato dal Gruppo Mezzogiorno.
Sullo stesso sfondo, inoltre, si muovono le storie
raccolte nel libro “Italia no, Italia forse” edito
da La Scuola, di cui ospitiamo un estratto. Nelle
prossime pagine approfondiamo l’argomento
con le interviste a Stefano Semplici, Direttore
scientifico del Collegio Universitario dei Cavalieri
del Lavoro “Lamaro Pozzani” e Domenico De
Masi, sociologo del lavoro.
A seguire gli interventi dei Cavalieri del Lavoro
Gabriele Galateri di Genola, Mario Magaldi
e Angelo Michele Vinci.
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