Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 46

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2014
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DOSSIER
All’inizio del 1900, per esempio, si laureavano circa sei-
mila italiani l’anno e ne emigravano tremila, il 50%. Nei
primi decenni del Novecento la metà dei nostri laureati
cercava lavoro all’estero. Ovviamente, questi emigrati di
alto livello stavano nel grande flusso degli immigrati che
ha portato all’estero 7 milioni di italiani e dunque face-
vano meno notizia. Ma cade il luogo comune che la fuga
dei cervelli sia un fenomeno recente.
Come è arrivato alla definizione del numero di laure-
ati immigrati all’inizio del Novecento?
La curiosità di approfondire il tema dipende dalla storia
della mia famiglia. Due miei zii della provincia di Bene-
vento, entrambi laureati in farmacia, emigrarono negli
Stati Uniti, a Filadelfia, negli Anni Venti. Parlando con lo-
ro venne fuori che all’epoca non solo i poveri, ma anche
i laureati emigravano. Così ho approfondito l’argomento.
Dunque secondo lei la cosiddetta “fuga dei cervelli”
non è negativa come si ritiene.
Percentualmente non è negativa. Tanto più che noi la fa-
cilitiamo, per esempio mandando i nostri studenti uni-
versitari a passare un periodo all’estero con il programma
Erasmus, che io da docente universitario e da preside di
facoltà ho sempre sostenuto. I nostri studenti tendono ad
andare soprattutto in Gran Bretagna e Spagna e poi si dif-
fondono anche in altri Paesi a seconda delle disponibilità.
E ovviamente diversi di loro sono spinti a restare nei Pae-
si dove hanno passato un periodo di studio, anche perché
nelle università straniere hanno di solito una buona assi-
stenza e buoni servizi dedicati agli studenti stranieri. Noi
non abbiamo nulla di tutto questo: alla Sapienza di Roma
c’è un ufficio per stranieri che non fa nulla e gli studenti
che vengono a studiare da noi dagli altri Paesi si trovano
persi in una bolgia da 150mila studenti.
“È DIFFICILE DEFINIRE
cosa si intende per cer-
velli. Mi par di capire che si intenda i laureati, tra i quali
ci saranno certamente straordinari scienziati e intellettua-
li, ma anche parecchi poveracci”. Esordisce così il socio-
logo del lavoro Domenico De Masi, per anni preside del-
la facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza
di Roma e attento studioso dei fenomeni sociali anche
in chiave storica. Da questo punto di vista, De Masi ten-
de a ridimensionare l’allarme per la cosiddetta “fuga dei
cervelli” che minaccerebbe lo sviluppo del nostro Paese.
Cosa dicono le sue ricerche?
Dai dati emerge che i laureati italiani che vanno all’este-
ro sono circa seimila l’anno su un numero di laureati to-
tali di 160mila. Dunque non sono una percentuale eleva-
ta, soprattutto se li valutiamo in una prospettiva storica.
MA
NON
ESISTE
LA
FUGA
DEI
CERVELLI
Vanno all’estero seimila laureati sui 160mila giovani che si laureano ogni anno. All’inizio del
Novecento erano molti di più. E poi “importiamo”circa 90mila laureati l’anno, ai quali però facciamo
fare i camerieri. Per il sociologo del lavoro Domenico De Masi la “redistribuzione del lavoro” è
l’unico antidoto all’aumento della disoccupazione intellettuale.
Domenico De Masi
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