Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 53

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2014
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DOSSIER
que università americana potrei tranquillamente leggere
quando inizierà un particolare corso l’anno prossimo, in
che aula, in quali giorni e a che ora ci saranno le lezioni o
l’esame finale. In Italia queste date troppo spesso si deci-
dono ancora un mese prima dell’inizio delle lezioni. A mio
avviso c’è bisogno di una figura che dall’alto, da molto in
alto, detti chiaramente le regole. Per quale motivo al li-
ceo l’orario si stabilisce e si rispetta mentre all’università
no? Per quale motivo alle scuole superiori i docenti vanno
a lezione ogni giorno e all’università questo non sempre
avviene? Ci vorrebbe più serietà e attaccamento al siste-
ma universitario da parte di docenti, studenti, famiglie e
autorità in generale. E un regolare controllo del rendimen-
to a lezione dei professori, come avviene da decenni nei
Paesi anglosassoni. Come dicevo prima, fortunatamente,
le cose stanno cambiando.
Quindi, secondo lei, il problema del nostro sistema
universitario non è tanto una insufficienza di risorse
economiche quanto un problema di risorse umane?
Quando le risorse finanziarie ci sono ma non sono adegua-
te, anche nel semplice ambito familiare, bisogna cerca-
re di ottimizzarne l’impiego. Non sono sicuro che in Italia
questa razionalizzazione avvenga. L’università deve ini-
ziare a puntare sulla qualità e sull’eccellenza.
All’interno dell’ambito universitario si sa chi lavora bene,
sia per quanto concerne la didattica che la ricerca. Pen-
so che questo sia più un problema politico. Se un Rettore
(o un direttore di Dipartimento) dovesse premiare solo la
produttività, su mille professori ne avrebbe contro tantissi-
mi, probabilmente la maggioranza. E così si taglierebbe o
verrebbe tagliato fuori. Troppo spesso la politica universi-
taria è fatta di suddivisione di poltrone e nuovi posti, piut-
tosto che di discussione di programmi didattici e di ricer-
ca. Un aspetto fondamentale del futuro dell’università è il
reclutamento del personale docente e l’avanzamento del-
le carriere, ma non possiamo ancora sapere quali saran-
no gli effetti della riforma Gelmini in questo ambito. Sul-
la carta il Miur sta andando nella direzione sopra indicata.
Cosa suggerirebbe per migliorare la situazione in tal
senso, anche alla luce della sua esperienza oltreoceano?
Io sono convinto che vadano chiamate persone da fuo-
ri. Negli Usa c’è una regola non scritta volta ad impedire
l’inbreeding, la pratica per la quale le università tratten-
gono propri laureati nel corpo docente. Conviene assu-
mere persone dall’esterno, perché portano idee nuove.
Ci vogliono giovani, da fuori. Noi invece negli anni abbia-
mo spesso preso persone anziane, da dentro. Per cui alla
fine la mentalità che prevale è sempre quella del “porta-
borse”. Sento spesso obiettare a questa mia osservazio-
ne con frasi del tipo “facciamo crescere dei giovani e dob-
biamo assicurare loro il posto”. Non è così che si aiutano
i giovani o le università. Io contribuisco alla formazione
di un giovane per mandarlo alla Fiat, ad Arup a Londra,
in Texas, a Zurigo e poi prendo qui con me all’università
uno di Stoccarda. Oppure prendo un italiano, ma che ma-
gari ha fatto il dottorato a Stanford. Questo è l’approccio
migliore nella gestione delle risorse umane, se davvero
si vuole un accrescimento reciproco delle istituzioni.
Antonio Castiello
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