Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 52

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2014
52
DOSSIER
Le speranze e le attese erano tante, ma devo riconosce-
re che l’avvio della mia esperienza all’estero non fu faci-
le. Dopo qualche settimana la tentazione di risalire sulla
mia Polo e tornare indietro era forte.
E invece non tornò indietro. Dopo sei mesi fece nuo-
vamente le valigie per gli Stati Uniti.
In quei mesi cominciai a pensare: “indietro non si torna,
devo cercare qualcos’altro”. E questo qualcos’altro si an-
nuncio in modo abbastanza casuale. Mi misi a lavorare
su un progetto il cui responsabile si trovava ai Bell Labs,
che erano il braccio di ricerca di Lucent. E apro qui una pa-
rentesi. Dopo la deregulation della fine degli anni Ottanta
negli Stati Uniti, la AT&T, che era stata a lungo il monopo-
lista del settore delle telecomunicazioni, si divise in due
parti: una, che conservò il nome originario, continuò a fa-
re l’operatore; l’altra, che era Lucent, incorporò il settore
manifatturiero e in quella fase i Bell Labs, che si occupa-
vano della ricerca ed erano una sorta di “cavallo in corsa”
che faceva di tutto, dalla fisica all’elettronica, dalle teleco-
municazioni al software. Questo era il collegamento. Co-
minciammo a lavorare insieme: alla Lucent cercavamo di
capire come i risultati della ricerca che veniva svolta nel
New Jersey avrebbero potuto avere un impatto sui nuovi
standard dell’UMTS e di quella che poi è diventata la ter-
za generazione di rete mobile. Alla fine chiesero che uno
di noi si trasferisse lì per un annetto: io alzai la mano, fui
scelto e rimasi negli Stati Uniti fino al 2003.
E così diventò MTS, Member of Technical Staff dei Bell
Labs, ricercatore a tempo indeterminato. Come cam-
biò la sua attività?
La cosa che mi colpì subito di più fu la libertà di fare quel-
lo in cui ciascuno credeva avesse senso investire il proprio
tempo. Partendo “in quarta”, con tutte le risorse necessa-
rie, salvo essere controllati alla fine dell’anno per verifica-
re come stesse andando il progetto. Devo aggiungere che
questo era il modo di operare dei vecchi Bell Labs, che,
come ho capito dopo, si stava indebolendo. Era il modello
di una ricerca di base vera, fine a se stessa, che era stata
possibile per decenni perché l’AT&T, essendo monopolista
delle telecomunicazioni, faceva in fondo i prezzi che vo-
leva e poteva destinare cospicue risorse a questo settore.
Poteva permettersi di investire anche in filoni di ri-
cerca che magari non avrebbero portato da nessuna
parte, a nessun successo commerciale.
Esattamente. Quello era un modello che adesso non esi-
ste più, salvo forse in qualche laboratorio di Google o di
Microsoft. Io ho visto gli ultimi bagliori di questo tipo di
mentalità, che sono durati più o meno fino al 2000-2001,
quando la Lucent, soggetto non più monopolista e che
doveva combattere con le unghie e con i denti con tutti
gli altri competitor, tra i quali diversi manifatturieri cinesi
che si stavano affacciando sul mercato in quel momento,
ha dovuto cominciare a cambiare la prospettiva, chieden-
do ai Labs di limitare la libertà dei propri ricercatori e di
cominciare a farli lavorare su cose che avrebbero dovu-
to arrivare sul mercato e arrivarci abbastanza in fretta, al
massimo in 3-4 anni. Questo cambiò tutto e diventammo
degli sviluppatori quasi più che ricercatori.
Giorgio Mazza
MOBILITÀ E VALUTAZIONE
AIUTANO A CRESCERE
Enrico Spacone
- Dal 2001 è professore ordinario di Tec-
nica delle Costruzioni presso l’Università “G. D’Annunzio”
di Chieti-Pescara, dove è attualmente Direttore del Dipar-
timento di Ingegneria e Geologia.
Qualche proposta per migliorare la ricerca universi-
taria italiana?
Il primo problema da affrontare è senza dubbio di tipo
organizzativo. Uno dei fattori principali che distingue uni-
versità come MIT, Berkeley, Zurigo, Sorbona dalle nostre
è l’efficienza. Se adesso consultassi il sito di una qualun-
copertina 1...,42,43,44,45,46,47,48,49,50,51 53,54,55,56,57,58,59,60,61,62,...copertina 4
Powered by FlippingBook