Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 51

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2014
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DOSSIER
lia e ha una storia di ricerche di tutto rispetto. Si tratta di
una responsabilità più grande di quella che avevo prece-
dentemente e tutto ciò ha dato un’impronta diversa alla
mia attività lavorativa, offrendomi una maggiore possibi-
lità di incidere effettivamente sulla ricerca che viene fat-
ta qua, sebbene questo sia vero fino ad un certo punto.
Il direttore di un istituto di ricerca americano, per esem-
pio, può assumere e licenziare, può scegliere i candidati
direttamente. E questo al riparo da vari tipi di ingerenze,
anche perché la ricerca di base non è oggetto di partico-
lare interesse delle lobby. Naturalmente, si deve assume-
re la responsabilità delle scelte e scelte sbagliate hanno
conseguenze serie.
Come descriverebbe il quadro attuale della ricerca
in Italia?
In Italia abbiamo elementi di eccellenza che vivono abba-
stanza isolati: a Roma, a Napoli, a Milano. In questo istitu-
to di ricerca a Napoli abbiamo molti finanziamenti europei
che riceviamo per la produttività che riusciamo a mante-
nere. Questo livello di “redditività” nella ricerca, tuttavia,
non si può ottenere ovunque. La ricerca non si fa nelle
cattedrali nel deserto. Posso affermare senza incertezze
che se mi avessero offerto un posto di lavoro in un luo-
go più piccolo come una università di provincia, non sarei
andato. Semplicemente perché non avrei potuto lavorare
come vorrei. La massa critica è necessaria e più un posto
diventa “aggregato” più crescono le competenze e più si
ha la possibilità di essere competitivi.
Negli ultimi anni ci si sta muovendo verso l’accentramen-
to delle eccellenze. E questo risponde a precisi motivi tec-
nici. Senza una massa critica di una certa portata, non si
riesce per esempio a trattare bene una patologia non co-
mune per un piccolo ospedale e non si riesce a fare be-
ne ricerca avanzata, che richiede laboratori di qualità e
multidisciplinarità.
Un buon sistema di valutazione come dovrebbe fun-
zionare?
L’implementazione di sistemi di valutazione che abbiano
come effetto una efficace ripartizione dei
fondi disponibili sarebbe un passo nella direzione giusta,
ma da sola non basta. Anche il tema delle donazioni o in-
vestimenti privati non va sopravvalutato, considerandolo
una panacea per il sistema. Il più grosso finanziatore del-
la ricerca biomedica negli Usa è lo Stato, attraverso il Na-
tional Institutes of Health.
Distribuire fondi in maniera meritocratica è tuttavia molto
costoso. Il sistema di peer review attualmente utilizzato,
per esempio, è un investimento costoso, che però deve
essere sostenuto, pur nella consapevolezza del limite in-
trinseco ad un ambiente di ricerca come quello italiano.
In un ambiente piccolo come il nostro è più facile la ten-
tazione di conflitti di interesse e scambi di favori.
In parte è così anche negli Usa, dove le dimensioni stes-
se del Paese consentono di ridurre molto l’incidenza del
problema. Da noi si è cercato di limitare il rischio chieden-
do agli stranieri di valutare, con la conseguenza di pagare
commissioni estere per fare cose che, in linea di principio,
saremmo perfettamente in grado di fare da soli.
Matteo Paoletti
DAI LABORATORI
ALL’IMPRESA
Luca Salgarelli
- Professore associato di Telecomunica-
zioni presso l’Università di Brescia, dal 2013 si è allonta-
nato temporaneamente per dedicarsi a tempo pieno alla
TSEC, iniziativa imprenditoriale sulle tecnologie per la si-
curezza della quale è co-fondatore dal 2011.
Cosa la spinse ad andare all’estero?
Da tanto tempo volevo andare a vedere cosa c’era fuo-
ri dall’Italia. Risposi così ad un annuncio sul Corriere del-
la Sera: si cercavano ingegneri, in particolare elettronici
e di telecomunicazioni, per il nuovo laboratorio di Lucent
Technology a Swindon, in Inghilterra. Fui chiamato per
una intervista e venni poi assunto. Ricordo la data della
mia partenza: era il 15 marzo del 1998.
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